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Museo Novecento
In occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, il 25 novembre 2022, il Museo Novecento rinnova il proprio impegno contro la discriminazione di genere attraverso il progetto ST. JAVELIN, l’ultima serie fotografica di Julia Krahn, in cui l’artista invita le donne ucraine rifugiate a raccontarsi attraverso immagini e interviste.
Orari Mostra
Museo Novecento
Lunedì – Domenica
11:00
–
20:00
Giovedì
Il progetto prende il nome da St. Javelin, un’immagine nata e diffusa durante la guerra in Ucraina che raffigura la Madonna con in braccio un missile anticarro, lo javelin, simbolo della resistenza. La nuova iconografia di una madre armata ribalta quella di Maria che sostiene in braccio suo Figlio, richiamando alla mente la morte e la violenza più che la vita e l’amore.
Nel loggiato esterno del Museo Novecento saranno installate dieci bandiere recanti i ritratti di donne ucraine rifugiate, sorta di icone laiche che si impongono nello spazio con tutta la forza e la dignità del messaggio che veicolano, un messaggio di resistenza e di pace.
All’interno della serie fotografica è presente anche un autoritratto dell’artista, immortalata mentre stringe in mano la sua arma, la macchina fotografica, che invita le rifugiate a fare lo stesso, descrivendo le proprie armi di resistenza quotidiana, fatte per costruire e mai per distruggere.
“Mi chiamo Marina e ho trentadue anni. Vengo da Vinnycja, nell’Ucraina occidentale. Prima della guerra sono diventata madre per la seconda volta. Quando siamo scappati dalle bombe la bambina più piccola aveva solo quattro mesi. Ho guidato per quattro giorni e attraversato quattro Paesi diversi per arrivare in Italia. Il resto della famiglia è rimasto in Ucraina. Ogni mattina chiamo mio marito e i miei genitori sperando di sentire le loro voci, di sapere che sono ancora vivi. Quella mattina del 24 febbraio ci ha svegliato la telefonata di mia madre: “È scoppiata la guerra!”. Erano le quattro del mattino. Ci sono passati sulla testa otto missili cruise. Quel suono sordo delle esplosioni, non lo dimenticherò mai, mai!
Mi mancano tanto le giornate normali, le serate in famiglia, quella serenità semplice, gli abbracci dei miei genitori. Spero che presto arriveremo davanti casa con i miei bambini e mio marito sarà lì ad aspettarci: ci abbracceremo più forte, più spesso. In futuro voglio incontrare amici e familiari tutte le volte che posso. Noi ci daremo da fare e ricostruiremo il nostro Paese ma voi dovete capire che prima bisogna che ci sia la pace. Il mondo intero deve fare uno sforzo affinché quello che vediamo ora non accada mai più!
Chi non l’ha vissuto, non può capire cosa vuol dire non sopravvivere alla disperazione. Quando sei in mezzo alle bombe l’ansia e la paura ti divorano. Chi non ha sentito le esplosioni vicino alla propria casa, difficilmente capirà tutto il dolore che sta vivendo il popolo ucraino. Siamo tanto grati a chi ci ha accolto. Qui a Sorrento ci siamo tranquillizzati perché ci sentiamo al sicuro, ma la mente va sempre ai nostri cari che sono laggiù, tra le bombe. La preoccupazione per amici e parenti non si placa mai.”
4 maggio 2022
“Mi chiamo Juliana, ho ventisette anni. Vivo con i miei due figli nella regione di Černivci, vicino alle montagne omonime. Prima della guerra avevo tanto da fare nella pasticceria. Per raggiungere il confine ho dovuto percorrere 5 chilometri a piedi con i bambini, e poi trenta ore di bus per l’Italia. Tutti i miei parenti sono rimasti in Ucraina e, anche se siamo costantemente in contatto con loro, sto soffrendo molto. Non li avevo mai lasciati così a lungo.
Il giorno prima della guerra facevo il mio lavoro, al solito. Il 24 febbraio la mia vita si è divisa in prima e dopo. Mi sembra di aver cancellato dalla memoria tutto ciò che c’era prima, quei giorni spensierati e felici. Dal 24 febbraio spero solo che questo orrore finisca presto. Quella mattina ci siamo svegliati di colpo e ci siamo preparati di corsa per andare a nasconderci in un rifugio antiaereo. Ogni giorno mi sento sopraffatta da così tante emozioni; il senso di incertezza è quello che mi spaventa di più.
Il mio cuore soffre per ogni bambino ucciso, per ogni persona, per le migliaia di loro senza nessuna colpa. Sembra un film dell’orrore. Il mio cervello si rifiuta di credere che questa sia la realtà, che una cosa simile sia possibile, ma credo fermamente nel bene. Sono sicura che presto tutto finirà e torneremo a incontrare i nostri parenti, torneremo alle nostre case!”
18 maggio 2022
“Mi chiamo Aleksandra vengo da Rivne, nord-ovest dell’Ucraina. Ho ventisette anni e un figlio di sette anni. Prima della guerra facevo un lavoro che mi piaceva, alla reception di un grande albergo con ristorante.
Il 28 febbraio, cioè il quarto giorno di guerra, abbiamo preso la macchina e siamo andati dai miei parenti a Ivano-Frankivs’k, per avvicinarci al confine.
Il giorno dopo siamo partiti in autobus per Breslavia, nella parte occidentale della Polonia. Siamo arrivati alla frontiera alle sette del mattino. Abbiamo dovuto aspettare quindici ore perché c’erano più di otto autobus con donne e bambini in fila. A mezzanotte abbiamo raggiunto la nostra destinazione. Avevo prenotato i biglietti aerei e la camera per me e mio figlio già dall’Ucraina. Scendendo dall’autobus, ho trovato un taxi che ci ha portato all’ostello. Siamo rimasti in Polonia per tre notti e finalmente l’8 marzo abbiamo preso l’aereo per Napoli. Ora vivo a Meta di Sorrento. Tutta la mia famiglia era già qui in Italia, a parte mia nonna che è voluta rimanere in Ucraina. Ci sentivamo sempre per telefono, ma io mi calmavo solo dopo aver sentito la sua voce.
Il giorno in cui è iniziata la guerra vivevo la mia solita routine, come tutti. Fino all’ultimo credevamo tutti che non sarebbe mai potuto succedere. D’altronde abbiamo sempre vissuto in tempo di pace.
Ricordo il suono inquietante delle sirene e l’affollamento delle persone nel rifugio, allo stesso tempo confuse e sovreccitate. Ricordo che per venire in Italia c’era un posto di blocco ad ogni incrocio della città, con controlli infiniti fino alla partenza.
Ho nostalgia degli incontri con amici e parenti. So che non sarà mai più come prima. Qualcuno di loro è andato a combattere, qualcuno è morto e di qualcuno non si hanno più notizie. Io mi sono trasferita in un altro paese come le persone con cui ho passato la maggior parte della mia vita. Nessuno di noi sa se ci rivedremo ancora.
Io e mio figlio abbiamo preso solo il necessario: alcuni vestiti e i documenti, tutto stipato in una piccola valigia. Poi ho preso la mia croce; senza non andrei da nessuna parte. Io e il mio bambino ce lo ripetiamo sempre: è il nostro amuleto, che ci ha protetti da tutto ciò che di brutto avremmo potuto incontrare nel viaggio.
Sai cosa penso? Che il ripristino della pace e della tranquillità deve iniziare soprattutto dall’animo umano. La pace è un grande valore, l’oggetto delle nostre speranze a cui tutte le persone dovrebbero tendere. Il primo atto di guerra è l’intolleranza verso gli altri, verso le differenze. È quello che porta al desiderio di onnipotenza e di dominio. Nasce nel cuore dell’uomo, dall’egoismo, dall’orgoglio e dall’odio che distorcono la visione del mondo e la pongono sotto una luce diversa, negativa. La sfiducia e la paura danneggiano i rapporti tra le persone e aumentano il rischio di violenza, creando un circolo vizioso che non potrà mai portare a rapporti pacifici. Proveniamo tutti da un’origine comune: Dio. Dobbiamo fare un atto di volontà per riportare la calma. La pace deve partire da ciascuno di noi.
Devo confessarti che in un futuro prossimo mi immagino ricca, non mi vergogno di dirlo. Ricca non solo sul piano materiale, ma con una vita piena di accadimenti, grandi traguardi, con le piacevoli preoccupazioni di ogni giorno. Mi arricchirò cercando nuovi amici, con la famiglia che ho già vicino a me, in completa sicurezza. Mi immagino felice, con un sorriso fiducioso, perché ho fiducia che tutto andrà bene. Sogno, come tutti, che nel mio Paese non ci sia più la guerra, che le persone non muoiano. So che non tutti i miei sogni si potranno avverare in una volta, ma voglio immaginare che tra un mese nella mia vita non ci saranno più queste lacrime di dolore e miseria!
Tutti dovrebbero capire che la guerra influenza la vita di ciascuno nel profondo. In un istante tutto può cambiare. Chiunque abbia dei progetti o delle ambizioni o dei sogni per il futuro, si ritrova a doverli mettere in secondo piano. Quando nella tua patria volano proiettili, esplodono bombe e i missili colpiscono edifici residenziali, si pensa solo a sopravvivere e a mantenersi in salute, e il futuro non ha più certezze a cui appigliarsi. Invece tutti dovrebbero poter avere fiducia nel domani. In ogni caso, è necessario rivedere i valori delle nostre vite, ovunque ci si trovi. Perché oggi nel mondo non prestiamo abbastanza attenzione a ciò che invece, in momenti straordinari come una guerra, diventa fondamentale. L’amore, l’attenzione e la sensibilità verso gli altri, verso chi ci circonda.
Io non arrivo proprio a capire come gli uomini e le donne del XXI secolo non riescano a risolvere le questioni in maniera pacifica, senza lacrime o spargimenti di sangue e morte. Dio ha dato a tutti il diritto alla vita. Il tempo che abbiamo è così breve. Siamo sicuri che vogliamo sprecarlo tra conflitti e guerre, invece di viverlo in comprensione e armonia reciproche?
Quando ero a casa, all’inizio della guerra, passavo dalla paura alla disperazione, poi all’ansia e infine all’incertezza. Sensazioni che prima non avevo mai provato fino in fondo. Era terribile la sensazione di impotenza, non saper decidere nemmeno dove andare o cosa fare.
Ora mi sento molto meglio. Dormo più tranquilla, sapendo che tutti i miei parenti sono al sicuro vicino a me. Sono grata al Paese che mi ha dato rifugio e a tutte quelle persone che ho sentito simili a me, che mi hanno affiancato in quel momento difficile. Loro mi hanno sostenuto e aiutato a stabilizzare il mio stato d’animo, a ritrovare la fiducia e i punti di riferimento, a riprendere una direzione nella mia vita, che mi permetta di capire cosa devo fare per avere un domani migliore!”
19 maggio 2022
“Mi chiamo Kira e ho sei anni, sono venuta con mia madre Olena a Sorrento e ho conosciuto Julia che è venuta a casa nostra con un palloncino giallo. Me lo sono legato alla mano perché non volasse via. Dopo ci ha invitate a fare delle foto da lei in studio. Mi sono divertita molto. Mi ha dipinto tutta di blu con uno spruzzo e mamma ha mandato il vento nei miei capelli.
La doccia, dopo, non era proprio calda, ma non fa niente.
La fotografia mi è piaciuta molto, anche a mamma e papà e anche ai nostri amici.”
21 maggio 2022
“Mi chiamo Olga. Sono di Kiev e ho settantaquattro anni. In Ucraina facevo lavori domestici. Ho una figlia e tre nipoti. Uno di loro è rimasto lì. Noi abbiamo viaggiato prima in treno e poi su due autobus: in tutto quattro giorni. Ora viviamo nel Sud Italia. Anch’io che non avevo mai viaggiato.
Non riesco ad immaginare i prossimi mesi, nemmeno i prossimi giorni, con mio nipote lì. Per fortuna lo sento al telefono.
Quella mattina mi sono svegliata alle cinque con il rumore delle esplosioni. La pace non c’era più. Non ci si può preparare a tutto questo. Ti prende alla sprovvista.
Da quel giorno l’ansia è costante; la preoccupazione per quelli che sono rimasti intrappolati o in prima linea. Solo dopo una vittoria assoluta sarà possibile ripristinare la pace.
Chissà che fine hanno fatto i fiori sul mio balcone. Erano così belli.
La guerra non lascia solo i palazzi distrutti. Vengono distrutti anche i vivi, solo perché qualcuno lo ha deciso.”
17 maggio 2022
“Mi chiamo Sasha e ho ventun anni. Sono di Kiev, la città dove prima della guerra ho lavorato, ballato, parlato con gli amici e fatto progetti per il futuro. Mi trovo ancora in Ucraina ma ho intenzione di partire per l’Italia in estate. Ora vivo in un villaggio vicino a Luc’k. Il resto della mia famiglia è già in Italia, ma mio padre e mio nonno sono rimasti qui. A volte ci sentiamo. Sembra che lì vada tutto bene.
Il 23 febbraio, prima dello scoppio della guerra, ho disegnato tutta la notte e pensavo di andare al lavoro la mattina dopo. Invece mi sono svegliata alle cinque del mattino con una forte esplosione. Era un razzo russo caduto a cento metri da casa nostra. Qualche ora dopo, la gente ha iniziato a lasciare la città, noi invece ci siamo seduti e non sapevamo cosa fare. La sera io, il mio ragazzo, mia nonna e mio fratello siamo andati a passare la notte in un rifugio antiaereo. È stato molto strano e psicologicamente difficile. Abbiamo trascorso dieci giorni lì. Di notte avevo sempre paura. Il pomeriggio invece tornavamo a casa per mangiare e dare da mangiare al gatto, per riposarci un po’, perché dormire per terra era fisicamente faticoso, soprattutto per gli anziani.
Non abbiamo più fiducia nel domani, non crediamo più che tutto si risolverà. Mi mancano le chiacchiere con amici e parenti ma dobbiamo adattarci. Mi manca anche la metropolitana, per quanto strano possa sembrare. Il mio gatto, la possibilità di andare in centro, le feste organizzate dai miei amici. Le cose materiali, invece, sono meno importanti.
Prima di tutto, vorrei la pace, anche se ora sembra così difficile. Quando vedi la tua gente derisa e persone innocenti uccise è impossibile farsi da parte e convincersi che tutto vada bene. La guerra è terribile ma tutti possono aiutare. Chi con aiuti materiali, chi con la solidarietà morale. Tutto può rendere migliore il mondo intorno a noi, altrimenti si può impazzire. I pensieri hanno un effetto molto forte sulla nostra realtà. Per fortuna ora ci sono molti servizi gratuiti, come apprendimento delle lingue straniere e assistenza psicologica. Tutto può essere utile, persino iniziare a fare ciò che prima si rimandava costantemente.
Non so se ha senso pianificare qualcosa ora, ma credo sinceramente che andrò in Italia dalla mia famiglia. Prima però voglio tornare a Kiev, vedere gli amici, andare a ballare, fare ciò che ho sempre sognato.
Ho sempre detto che noi, come specie, non meritiamo una Terra così bella, che ci mette a disposizione tutto ciò che serve per vivere e per godere della propria esistenza. Ora penso solo che sono molto grata ai nostri difensori, ai volontari, alle persone che fanno di tutto per la sicurezza di noi comuni cittadini. Tutto ciò non ha prezzo.
C’è un aggressore, la Russia, e la sua propaganda non conosce limiti. Il suo governo, che dice cose false sul popolo ucraino, non ha alcun diritto di esistere. È qualcosa di veramente difficile da combattere, perché la Russia sta deliberatamente distruggendo la sua gente in modo che non abbiano il tempo di pensare a ciò che sta accadendo, anche fuori dai loro confini. Solo una minima percentuale di persone si chiede: “Se il mondo intero è contro di noi in questo momento, abbiamo davvero ragione?”. Le persone vanno avanti per inerzia e non vogliono usare il cervello per analizzare la situazione. Non dovrebbe essere così. Ognuno ha il diritto di scegliere. Quello che i soldati russi stanno facendo al nostro popolo è inaccettabile, orribile. Non c’è spiegazione. Non capirò mai come una persona possa sprofondare in un tale abisso. Nessun animale è violento per puro divertimento. Quelle non sono persone. Le persone hanno un’anima. Questa non è politica, questo è un genocidio. La cosa peggiore è che persone innocenti stanno morendo. Non riesco ad accettarlo.
A casa mi sentivo al sicuro, ovviamente, prima dell’inizio della guerra. Ora è difficile immaginare un posto sicuro, perché non sappiamo dove atterrerà il prossimo razzo. Ma credo che presto potremo sentirci di nuovo al sicuro, ovunque ci troviamo.
Ora mi sento come su un’altalena emotiva. Il corpo e il cervello si sono già adattati alle circostanze. Ora sono in un posto tranquillo dove non ci sono ostilità in corso. Eppure a volte fa male, c’è un vuoto nell’anima, che non riesco nemmeno a spiegare. Perciò in questi momenti è importante chiedere aiuto. Non solo è giusto ma è molto prezioso.”
21 luglio 2022
“Mi chiamo Olena. Sono nata trentotto anni fa a Kiev dove lavoravo come agente immobiliare. Sembra impossibile ora che i palazzi siano distrutti. Ma come è potuto accadere nel 2022!
Sono arrivata qui con mia figlia. In macchina abbiamo attraversato Ungheria, Slovacchia e Austria. Qui in Italia abbiamo ritrovato i nostri amici, ma il resto della famiglia è laggiù.
Capisci? In Ucraina ci sono mio marito, mio padre, mio fratello, i miei due zii, un cugino e le due nonne. Non posso stare nemmeno un giorno senza sentirli.
Quando è scoppiata la guerra era un giorno come un altro. Avrei dovuto fare cose di ordinaria amministrazione. E invece non è rimasto niente. Il dolore per la famiglia e per tutti noi ucraini ha travolto tutto. Sembra banale, ma i momenti con la famiglia sono ciò che mi manca di più. In questo momento mi sembra la cosa più difficile da raggiungere.
La pace scaturirà dalla nostra vittoria. Senza vittoria non ci sarà mai pace.
Chissà se tra un mese sarò ancora qui, o tra due. Voglio stare a casa mia. Lo dico sempre a mia figlia: dobbiamo essere forti perché non accada mai più, dobbiamo ricordare tutti coloro che ci hanno aiutato.”
12 maggio 2022
“Mi sono permessa di indossare il blu come le donne da me ritratte, proprio perché percepisco il mio mestiere come un’arma importantissima contro la guerra.
La cultura è come una terra fertile, dove la vita cresce bene. L’arte ha da sempre creato ponti fra mondi e pensieri diversi. Sa andare oltre la guerra. È testimone, memoria ma anche rivoluzione, energia vitale.
In queste ultime settimane sono così, tutta blu.
Soffro con le donne e il loro Paese. Cerco anche di proteggermi, più che altro dai media e dall‘ignoranza. Ma non ho paura. Mi difendo con quello che so fare, la mia arte, l‘autoscatto. Perché per guardare il mondo con occhi aperti credo si debba prima guardarsi dentro, in profondità.”
18 maggio 2022
“Mi chiamo Karina, ho dodici anni. Vengo da Kropyvnyc’kyj.
La mia famiglia è formata da me, papà, mamma e due sorelle, Kristina ed Eva.
Prima della guerra andavo a scuola tutti i giorni: frequentavo la quinta elementare. Nel pomeriggio prendevo lezioni di pianoforte e danza. Poi nel tempo libero facevo equitazione. Il mio cavallo preferito si chiama «Molniya» che vuol dire fulmine.
Quando siamo partite, mia mamma mi aveva promesso che saremmo rimaste in Italia soltanto due o tre mesi. Però appena arrivate mi ha detto la verità, cioè che non torneremo fino alla fine della guerra. L’Ucraina dista da qui quattro giorni, tra treno e autobus. Ora abitiamo nell’Istituto Sacro Cuore a Sant’Agata, ci ospitato le suore. Mia madre e mia sorella vivono qui con me, mentre la mia sorellastra sta con sua madre in Germania. Mio padre è rimasto in Ucraina a difendere la nostra casa.
Lì sono rimasti mia zia e miei due cugini e anche i miei animali. I miei cagnolini Chelsea e Persyk.
Mi mancano tantissimo tutti.
Mamma dice che ogni giorno rischiano la vita e che si devono nascondere durante gli allarmi antiaerei.
Il 24 febbraio sarei dovuta andare a scuola. Mia mamma ha svegliato me e mia sorella annunciando l’inizio della guerra. Ci ha detto di mettere in una borsa le cose indispensabili e che potevamo prendere una sola delle cose a cui tenevamo molto. Dopo abbiamo raccolto il cibo nelle scatole, per avere qualcosa da mangiare in caso fossimo state costrette a fuggire. Quel giorno non sapevamo se saremmo sopravvissute.
Eravamo in cinque: io, mia sorella, due miei cugini e il bambino dei vicini. I miei genitori ci hanno fatto nascondere in corridoio e poi correre sotto al pianoforte. Ci hanno messo addosso coperte calde e poi hanno sigillato con lo scotch e altre coperte tutte le finestre.
Mi mancano tantissimo il mio cavallo e i miei cani. Amo molto gli animali.
Ormai ho capito che la guerra non finirà subito e non tornerò presto a casa, quindi mi sto adattando a vivere in Italia. La guerra mi ha insegnato a non pensare troppo avanti nel tempo. Bisogna riparare subito le scuole e tutte le altre strutture educative e insegnare il bene ai bambini, perché la guerra è male e porta solo dolore. In guerra la gente uccide altra gente e provoca sentimenti terribili. Quando ero in Ucraina avevo paura che la guerra arrivasse dentro alla mia camera, perciò ora che sono al sicuro dovrei essere tranquilla. Invece mi manca tantissimo casa mia.”
16 ottobre 2022
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“Mi chiamo Natalia, ho trentacinque anni. Vengo dalla bella città Kropyvnyc’kyj. Prima della guerra avevo una carriera meravigliosa nella GK «Naftogas» (compagnia del gas «petrolgas»), la mia compagnia preferita. Di sera andavo a fare danza o alcune volte volontariato e, cosa più importante, ero felice di crescere le mie due bambine.
Ho pensato di andare in Italia sin dal primo giorno di guerra, però non potevo lasciare la mia casa, la mia vita, il mio Paese. Così abbiamo vissuto quattro mesi e mezzo con gli allarmi antiaerei. Poi con mio marito abbiamo deciso di far andare via le nostre figlie. La cosa più brutta è che le ho portate via dicendo loro una bugia. Ho promesso che saremmo rimaste in Italia per pochi mesi, invece appena arrivate ho confessato la verità: rimarremo qui fino alla fine della guerra. Ora abitiamo con delle suore che ci hanno ospitato.
A casa è rimasto mio marito che presta servizio nelle forze armate ucraine. Sono molto preoccupata per mia sorella e i miei nipoti, però non li posso far venire da me. Li sento ogni giorno.
La mattina in cui è iniziata la guerra mi sono svegliata con un forte rumore. Ho messo a fare il caffè e ho acceso la TV. Al TG stavano dando la notizia del bombardamento di Kiev. Nello stesso momento sopra casa nostra è passato un aereo militare. Volava molto basso, è stato terribile. Ho chiamato mia sorella e le ho detto di portare i figli da me. Quel giorno sembrava di stare in mezzo alla nebbia. Non riesco a dimenticare quando hanno bombardato la nostra città. Erano le cinque di mattina. Un susseguirsi di esplosioni, il telefono che squilla. Ho nascosto i bambini e sono corsa a prendere la mia vicina e suo figlio. Appena sono uscita dal cancello ho sentito un’altra forte esplosione. Mi sono abbassata e sono rimasta per terra a lungo. È stato terribile.
Mi mancano i giorni sereni, quei weekend in cui andavamo da qualche parte con la mia famiglia, una volta una passeggiata in centro città, un’altra volta nel parco. Mi manca anche il mio cuscino, lo portavo sempre con me in viaggio.
La pace arriverà solo quando la gente capirà che la vita è più importante del petrolio, dei territori. La guerra mi ha fatto capire che bisogna vivere giorno per giorno.
Sto provando ad adattarmi alla cultura italiana, ma è molto difficile. Soprattutto quando hai due diplomi universitari ma devi fare lavori semplici, a casa hai perso il tuo lavoro e tutta la tua vita sta dentro una sola valigia.”
16 ottobre 2022
“Mi chiamo Gaia. Sono nata a Kiev trentotto anni fa. Sono venuta in Italia con i miei due bimbi, Micha e Anna. Prima della guerra mi occupavo soprattutto della mia piccola Anna, ma avevo in programma di riprendere gli studi. Riuscivo sempre a ritagliarmi un po’ di tempo per i libri e preparavo gli esami di ammissione per studiare biologia.
Il 24 febbraio, quando abbiamo sentito bombardare Kiev, ci siamo trasferiti da mia mamma che vive in un piccolo paesino vicino Černihiv, al confine con la Bielorussia. Eravamo sicuri che sarebbe durata poco, invece è iniziato un incubo infinito. Non riuscivamo più a venire via. Siamo rimasti lì per tre settimane. Poi finalmente ci siamo uniti a un convoglio di venticinque macchine. Eravamo divisi in cinque gruppi.
Passavamo per le strade secondarie, i boschi, le vie sterrate. Dovevamo stare molto attenti alle mine. Potevamo saltare in aria da un momento all’altro. Quindi partiva sempre prima un gruppo e, se non era successo niente, aspettava il gruppo successivo più avanti. Questo stillicidio è durato sei ore, il tempo che ci abbiamo messo per fare 80 chilometri. Appena fuori dalla zona minata abbiamo iniziato a doverci nascondere dai missili. Ogni volta che sentivamo quel sibilo avvicinarsi, dovevamo correre il più velocemente possibile fuori dalle macchine e ripararci nella radura.
Nell’ultimo tratto invece abbiamo attraversato un campo immenso dove prima erano passati i carri armati russi. Il terreno era pieno di fossi creati dal peso dei cingolati. Le nostre auto normali non li avrebbero potuti attraversare ma per fortuna la notte precedente aveva fatto – 15 gradi e i campi erano ghiacciati. Il capo del convoglio era stato molto chiaro: avremmo dovuto attraversare quella distesa nel minor tempo possibile e se fossimo entrati in un fosso avremmo dovuto abbandonare l’auto e proseguire a piedi.
In questo modo siamo riusciti ad arrivare a Kiev. Il giorno dopo siamo partiti per Mohyliv-Podil’s’kyj, dai nostri parenti. Dopo altri due giorni abbiamo preso il pullman che andava da Černivci a Cracovia. Poi con i miei bambini ho preso un aereo per Bari e un autobus per Napoli dove mi aspettava la mia amica Natalya. Ora vivo da lei, a Sorrento. Ci conosciamo da venticinque anni. È la mia migliore amica, quasi una sorella. Quando lei ha lasciato l’Ucraina per venire qui ci scrivevamo continuamente lettere. Allora non c’erano ancora i cellulari. Oggi per fortuna posso sentire il resto della mia famiglia rimasta in Ucraina: mio marito, mia mamma, le mie sorelle.
Quel mattino mi ritorna in mente di continuo. Non riuscivo a credere che ci fosse una guerra in atto. Mi ripetevo tutto il tempo: “Non è assolutamente possibile”. Vorrei tanto dimenticare quegli ultimi momenti dentro la mia casa quando, per le esplosioni, sembrava che tutto venisse giù con noi dentro. La casa sembrava fatta di carta; tremava come tremavamo noi per la paura.
Finché l’informazione non sarà veritiera la pace non sarà possibile. Finché non leggeremo notizie corrette, non ci sarà speranza per la pace. Perché anche quei soldati che uccidono, lo fanno per un ideale, sbagliato sì, ma pur sempre un ideale. Solo dopo essere arrivati a destinazione scoprono di essere stati mandati in guerra, ma ormai è troppo tardi.
Questa guerra non è come la Seconda Guerra Mondiale, quando non si poteva comunicare. Oggi sappiamo
e vediamo tutto. Non si può negare l’evidenza. Non possiamo più risolvere i grandi problemi mondiali con la guerra. Se prima senza testimonianze dirette ci potevano essere delle interpretazioni sbagliate dei fatti, ora con tutto ciò a cui assistiamo, con le immagini che girano in tutto il mondo non è più possibile.
È tutto sotto i nostri occhi. Non si può fingere di non vedere.
Come si fa a capire un fatto così assurdo: una persona libera che ne uccide un’altra che pensa di essere libera e parla di libertà. Le persone che uccidono non sono mai libere.
Avere un ideale di liberazione che porta a uccidere una persona nella propria casa, uccidendo civili e bambini o torturando. Ho una gran voglia di piangere! Mi sento così impotente.
Io comunque spero che fra poco tutto sia finito e che torneremo a casa e a scuola e che verremo qui da Natalia solo per le vacanze. Ma per ora stiamo qui e aspettiamo. Almeno fino a settembre e poi decideremo. Voglio prendermi un po’ di tempo e non pensare a niente per un po’. Ogni giorno cambia tutto e non sappiamo cosa succederà domani. Non ce la facciamo più a vivere così.
La quotidianità ci manca tanto. Portare i bambini a scuola, le piccole cose insomma. Mi manca fare programmi per le vacanze, le feste, la nostra vita. Quanto mi manca la stabilità! La scuola per i miei figli. Ti rendi conto che non so nemmeno dove studieranno il prossimo anno.
Dopo aver attraversato questo dolore niente sarà più come prima.
Apprezziamo tutto ciò che prima davamo per scontato. Quello che ritenevamo prezioso è scomparso e quello a cui non abbiamo dato importanza ora è così essenziale. La Pace per esempio.
Anche se vivo qui, sotto un bellissimo cielo blu senza nuvole, insieme alla mia famiglia, il mio cuore è in lutto per le persone che sono rimaste lì, a casa mia.”
23 maggio 2022
Una seconda installazione sarà realizzata nel loggiato interno al primo piano del museo, dove verrà esposta la serie Die Taube, che presenta otto fotografie stampate su carta per affissione (affiches) e riprodotte in grande formato.
In Die Taube l’artista torna sul tema sacro dell’Ultima Cena, cui si dedica fin dal 2010, e attraverso la metamorfosi di un piccione in colomba bianca, poi macchiata di un rosso intenso, ripercorre la pratica dei sacrifici antichi. Le immagini, grazie ad un immediato richiamo spirituale e al simbolismo cristiano, instaurano un vivo dialogo con il loggiato, in passato dedicato al ritiro e alla meditazione, e allo stesso tempo invocano, come le donne ucraine ritratte nelle vele al piano terra, un chiaro messaggio di speranza, di trasformazione e di passaggio verso una nuova convivenza.
JULIA KRAHN
È un artista multidisciplinare tedesca. Nasce a Jülich nel 1978 e cresce ad Aquisgrana in Germania. Per dedicarsi completamente all’arte lascia gli studi di medicina e si trasferisce a Milano dove vive e lavora. Durante il lockdown apre il suo nuovo studio a Santa Lucia, nel centro di Sorrento. La sua ricerca interroga la permeabilità dello sguardo tra identità dell’artista e dello spettatore. Ridefinisce gli oggetti quotidiani e i simboli del passato con fotografie che presentano una fluidità ambigua: più che raccontare lo scorrere del tempo o costruire una storia cristallizzano, trasformano da stato liquido a solido, i frammenti di una realtà privata e segreta. Il suo lavoro riflette sui valori perduti o sbilanciati della società, della famiglia e della religione, fino a portare l’obiettivo su immagini che riconducono alle icone cristiane.
Un ringraziamento speciale all’Associazione I Penultimi e Galleria Giampaolo Abbondio.
Artista
Julia Krahn
1978, Jülich, Germania
Curatela
Sergio Risaliti
Coordinamento Scientifico e Organizzazione
Francesca Neri
Stefania Rispoli
Jacopo Manara
Press
Costanza Savelloni
Elisa Di Lupo
Social
Giulia Spissu
Identità Visiva
Archea Associati
Ph Credits
Leonardo Morfini